Il destino della Storia Moderna

di Vincenzo Naymo

Secondo i dati forniti nell’ultima assemblea della Sisem sembra che fra i giovani studiosi di storia moderna stia emergendo nettamente la tendenza a orientare sempre di più in avanti dal punto di vista cronologico le proprie ricerche verso, diciamo così, la seconda età moderna, cioè dal Settecento in poi, tralasciando secoli fondamentali come il Cinquecento e il Seicento, per non parlare del secondo Quattrocento che oramai risulta esclusivo appannaggio dei medievisti. La spiegazione di questa tendenza sembra sia legata alla crescente riduzione dell’insegnamento del latino nelle scuole e, aggiungerei, alla crescente incapacità di leggere le antiche grafie corsive cancelleresche da parte dei giovani modernisti (lasciando da parte la conoscenza della brachigrafia tardomedievale sulla cui ignoranza è meglio sorvolare). Si tratta, in prospettiva, di un fenomeno assai grave giacché se risulta assolutamente lecito spostarsi facilmente verso lo studio di epoche più recenti utilizzando le fonti scritte in volgare, anche a costo di sconfinare negli ambiti dei contemporaneisti in nome della libertà di ricerca, non mi pare sia altrettanto possibile, ovviamente, ignorare taluni fenomeni fondamentali ascrivibili alla prima età moderna che si collocano indiscutibilmente nei secoli sempre più negletti, quali il ‘500 e il ‘600, che credo difficilmente potranno divenire oggetto di studio da parte dei medievisti. Personalmente pur non avendo una fiducia cieca, per così dire rankiana, nei documenti d’archivio, penso che lo studio delle fonti manoscritte, possibile solo attraverso il possesso degli strumenti idonei alla loro lettura, rimanga fondamentale per qualsiasi modernista. Il rischio di questa deriva, invece, risulta duplice, e cioè da un lato di relegare le ricerche davvero originali all’interno di una periodizzazione assai ristretta e limitante, dall’altro di costruire le nostre conoscenze della prima età moderna esclusivamente attraverso il filtro di una pubblicistica e di una bibliografia sempre più datate che, in quanto tali, finiranno per condizionare e indirizzare le ricerche necessariamente verso taluni orizzonti piuttosto che altri, a danno soprattutto dell’originalità delle medesime. La soluzione possibile, a mio modestissimo avviso, è: più ricerca d’archivio per la prima età moderna (faticosa e difficile, lo so) da affiancare a quella bibliografica che rimane comunque importante. Di qualsiasi filone storiografico ci sentiamo figli, credo non possiamo permetterci il lusso di riempirci la bocca di storia globale e poi di non saper leggere un documento in latino redatto nel Cinquecento a pochi metri da dove siamo nati e viviamo.
Al di là di quanto è emerso a Catania, mi piacerebbe conoscere al riguardo l’opinione dei nostri Maestri e dei colleghi impegnati sul campo della ricerca, conscio, tuttavia, che forse questa non è la sede appropriata. Intanto buona domenica a tutti.

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