Il brigantaggio post-unitario come problema storiografico

di Wulfgar
Recensione a “Il brigantaggio post-unitario come problema storiografico” di Eugenio Di Rienzo, D’Amico Editore, Nocera Superiore 2020.
Inserirsi, a pieno diritto, nel dibattito storiografico attorno all’Unità d’Italia richiede che ci si astenga dal cadere nella trappola polemica legata alla contingenza attuale e che si ripercorrano alcuni punti controversi. In un libro, dal titolo “Il brigantaggio post-unitario come problema storiografico”, dato alle stampe presso D’Amico Editore nello scorso mese di novembre, Eugenio Di Rienzo fa quello che fa e/o dovrebbe fare lo storico serio, cioè problematizzare, ovvero porsi domande e trovare plausibili risposte, facendo in modo che siano convincenti per il lettore. Il tema è caldo, anzi rovente, e, a scanso di pretenziose diatribe, cerchiamo di porre in luce alcuni dilemmi cogenti.
A pagina 43, Di Rienzo scrive: «Quel brigantaggio [meridionale] fu d’altra parte anche una rivolta politica contro il processo di pauperizzazione del Mezzogiorno che l’unificazione comportò: un evento che fu immediatamente compreso, nelle sue esatte e drammatiche proporzioni, dai pubblicisti fedeli alla causa borbonica». Le opinioni di parte borbonica, ma anche quelle di parte sabauda, sono rielaborazioni parziali e non dati incontrovertibili. Oggettivamente si potrebbe correggere il tiro, citando dal libro di Vera Zamagni “Dalla periferia al centro” (il Mulino, 2013), laddove si ricorda che: «nel 1820 il governo napoletano aveva fatto un tentativo di incoraggiare l’industrializzazione del paese [il Regno delle Due Sicilie] attraverso una riforma dei dazi doganali in senso più coerentemente protezionistico, una politica degli acquisti pubblici e persino la gestione statale di alcune imprese, come le ferriere di Mongiana e la fabbrica di Pietrarsa per le costruzioni meccaniche […] I fusi meccanici di cotone installati erano in totale meno di quelli della sola Lombardia (pagina 39). [..]». Insomma, molti studi di storici economici , non ultimo “Perché il Sud è rimasto indietro” (il Mulino, 2014), di Emanuele Felice, ci raccontano, da un punto di vista economico, una diversa realtà. Ma non è questa la sede per alimentare una discussione di per sé già infuocata. Può anche rispondere al vero che il Regno di Sardegna fosse più indebitato rispetto a quello duo-siciliano, ma non dobbiamo dimenticare che quest’ultimo ai propri sudditi non offriva i servizi del primo: prendiamo in considerazione il solo sistema scolastico e i dati dell’analfabetismo, piaga che infestava il Meridione d’Italia.
Se vogliamo ragionare sull’esposizione debitoria del Regno di Sardegna nei confronti dei grandi banchieri internazionali, di converso apprendiamo dall’imponente monografia sulla più grande dinastia bancaria d’Europa, scritta da Niall Ferguson (Penguin Books, 1998), che: «Adolph [Rotschild] opted to flee with the Bourbon King Francis II to Gaeta, north of Naples, but it soon became obvious that neither James nor Anselm was prepared to grant the exiled monarch the loans (of 1.5 and 2 million francs respectively) which he requested. (pagina 100). [Traduzione: Adolph [Rotschild] scelse di fuggire con il re borbonico Francesco II a Gaeta, a nord di Napoli, ma divenne presto evidente che né Giacomo né Anselmo erano disposti a concedere al monarca esiliato i prestiti ( di 1.5 e 2 milioni di franchi rispettivamente) richiesti]. Ciò sta a significare che non vanno visti solamente i debiti di una parte, ma di tutt’e due, almeno. È fuor di dubbio che nel lungo processo di unificazione della nostra nazione ci siano state delle distorsioni, dei ritardi, certamente, però, non imputabili al 1861, divenuto oramai spartiacque ideologico tra un prima “mitico o mitizzato” e un dopo “deplorato”. Evidentemente il libro di Di Rienzo, se vuole essere uno stimolo alla riflessione, raggiunge lo scopo, anche perché è suffragato da una corposa bibliografia a piè di pagina e reca in appendice l’ “Analisi politica del brigantaggio attuale nell’Italia meridionale” di Tommaso Cava de Gueva, borbonico malmostoso , che aveva in odio lo Stato italiano.