Guido Reni
di Alessandro Vivanti
Dopo aver “festeggiato il compleanno” di Annibale Carracci, per domani c’è un altro bolognese illustre da celebrare.
Il 4 novembre del 1575, nasce a Bologna, nell’attuale Palazzo Ariosti di via San Felice 3, Guido Reni.
Suo padre Daniele Reni, musicista e maestro della Cappella di San Petronio, avrebbe voluto che il figlio seguisse le sue orme, ma questi, ancora giovanissimo, espresse una naturale predisposizione al disegno.
Accolto come apprendista, attorno ai vent’anni, nello studio del pittore fiammingo manierista Denijs Calvaert, amico del padre, che si impegnò a tenerlo per dieci anni, Guido Reni aderì all’Accademia degli Incamminati, che i Carracci avevano aperto dal 1582 e nel 1590 denominata Accademia dei Desiderosi.
Anche per lui voglio ricordarlo con alcuni suoi affreschi giovanili.
L’affresco raffigurante La caduta di Fetonte, del 1596-98 a Palazzo Rossi di Bologna, è al centro del soffitto della prima sala al piano nobile e rappresenta l’episodio che incontrò maggior fortuna nel corso del XVI secolo, ovvero il momento della caduta del giovane temerario, narrato alla chiusura del secondo libro delle Metamorfosi di Ovidio.
Per dimostrare di essere realmente suo padre, Apollo promette a Fetonte di esaudire un suo desiderio: il giovane ottiene così il permesso di condurre per un giorno il carro del Sole. Durante il viaggio Fetonte si rende conto che l’impresa è superiore alle sue forze, i cavalli sfuggono al suo controllo, il Sole si avvicina alla terra provocando incendi e sconvolgendo l’armonia dell’intero mondo. Colpito dal fulmine di Zeus, Fetonte precipita nel fiume Eridano, sulle cui sponde le sorelle piangenti la sua morte si trasformano in pioppi e le loro lacrime in ambra, e l’addolorato amico Cicno si tramuta in cigno.
Nella sala adiacente, oggi Sala del Comitato, c’era l’affresco Separazione della luce dalle tenebre, staccato e venduto nel 1840, e oggi conservato a Kingston Lacy in Inghilterra.
Il dipinto descrive il primo giorno della Genesi, in cui l’immagine dell’Alba separa le figure della Notte e del Giorno: si tratta sempre di una delle prime opere del giovane pittore bolognese. L’affresco ebbe però una storia avventurosa: fu staccato e riportato su tela nel 1840 per volere dell’allora proprietario del palazzo, il principe Pietro Pallavicini. La difficile operazione del distacco fu compiuta da Giovanni Rizzoli di Pieve di Cento, già esperto in simili lavori che per l’occasione dette prova della sua abilità trasportando dal muro concavo sulla tela «il solo e intatto colore». Gaetano Giordani, che allora dirigeva la Pinacoteca Pontificia e seguì personalmente l’operazione, scrisse che il distacco fu reso necessario dal cattivo stato di conservazione della pittura e dalle screpolature del soffitto che ne minacciavano lo sbriciolamento. Nonostante le assicurazioni del Pallavicini di volere conservare il dipinto, come «l’animo nobile e grande del proprietario generoso il richiedevano», l’affresco – concordemente giudicato una delle più belle opere di Guido Reni (un disegno preparatorio è stato rinvenuto nel Museo del Louvre) – venne venduto per 900 sterline a un ricco inglese, sir William Bankes, nel 1841. L’opera fu trasportata nella sua residenza di campagna nel Dorset, Kingston Lacy, dove Bankes stava radunando una ragguardevole collezione d’arte. Una volta a Kingston Lacy, Blankes si rese conto che non c’era sufficiente spazio per appendere l’enorme dipinto (459 cm x 417 cm). Inizialmente fu quindi collocato sul muro della sala da pranzo e in seguito fu trasferito sul soffitto della biblioteca.
Gli altri due affreschi staccati, raffigurano rispettivamente la Fortezza e la Giustizia, entrambi del 1599 ca., e sono conservati nella Pinacoteca nazionale di Bologna.

