Giuseppe Pellizza da Volpedo

di Roberto Cafarotti

La vita ci sottopone spessissimo la sua ironia beffarda. Sono nato a Bologna e uno dei miei primi ricordi era quello di mia madre che mi insegnava il nome della via dove abitavamo: via Pellizza da Volpedo, numero quindici. Difficilissimo da dire per un bimbo di due anni o poco più.

Come molti non potevo sapere chi fosse questo Pellizza, nemmeno quando divenni più grande ma soprattutto nemmeno mi interessava saperlo, come penso più o meno a tutti i giovani. Nel mio immaginario, poteva essere un condottiero, uno scienziato o, ironicamente, il famoso Fra’ ca..o da Velletri.

Poi si diventa adulti e magari all’Università si scopre la vita di quel personaggio che per tanti anni è stato un nome famigliare, quasi intimo, ma completamente sconosciuto. Di quella vita si scoprono cose straordinarie, come riguardassero le vicende incredibili e sempre ignorate di un parente stretto ma solitamente poco considerato.

Più o meno è ciò che ho provato quando ho scoperto chi fosse realmente Giuseppe Pellizza da Volpedo. Siccome ho anche abitato in via Lorenzo Bartolini, non vi dico poi di quello…, magari lo farò in un altro post.

Da Volpedo fu un grande artista piemontese, appartenente alla buona borghesia agraria che poteva permettersi di mandare il figlio a studiare, cosa non comune in quel fine Ottocento, un secolo denso di cultura e fermenti, politici e sociali.
Fu allievo di Hayez, amico di Segantini, Morbelli, Previati, Cremona, insomma tutta la Scapigliatura lombarda, ma soprattutto studiò tantissimo e si impegnò sul profilo tecnico sino a ottenere risultati eccezionali nella sua pittura.

In quest’opera Pellizza mette in pratica non solo gli aspetti tecnici maturati con l’applicazione del Divisionismo ma anche gli studi sulle ombre, sino ad ottenere effetti strepitosi di luce. Quando qualche critico utilizza l’aggettivo “vibrante”, molto inflazionato viene spesso spontaneo chiedersi di cosa si stia realmente parlando.

Come può vibrare qualcosa che per definizione è fisso come il colore nella tela. Chiaramente si usa come metafora di un effetto ottico, ma non sempre in maniera chiara e leggibile. Beh, in questo caso è facile comprendere cosa si intende per luce o colori vibranti.

L’effetto luminoso e gli accostamenti dei colori primari con i complementari producono il senso reale della luce che in quei particolari momenti della giornata assume l’effetto mutevole e suggestionante della vibrazione, appunto.

L’opera per la quale divenne famoso Pellizza è soprattutto il Quarto Stato, con la quale divenne artista portavoce delle tematiche di rivendicazione ed emancipazione delle classi proletarie. Ma la sensibilità verso i deboli, gli ultimi della società, traspare in quasi tutte le sue opere, come pure il rapporto stretto e quasi mistico con la Natura, probabilmente assunto e certamente condiviso dalla sua amicizia con Segantini.

In questo quadro, Pellizza da Volpedo narra il tema della solitudine, ovvero la pastorella delusa dall’abbandono del suo amore. L’artista mette in scena il dramma sentimentale attraverso la centralità della figura della pastorella e, sullo sfondo, il corteo nunziale dell’amato da cui spicca in maniera beffarda il bianco abito della sua sposa che egli ha preferito impalmare.

Un fatto che implica per la giovane pastorella non solo una ferita profonda ai propri sentimenti ma la cruda rassegnazione al dovere accettare un ruolo così umile per il resto della vita.

Pellizza riesce ad evocare perfettamente questi sentimenti ambientando la scena in controluce, dentro un’incredibile sintesi di colori e di potenza luminosa: un capolavoro assoluto della pittura moderna e contemporanea.

La malinconia e i grandi dolori purtroppo rappresentarono per Pellizza una costante tragica della vita, sino al punto che non riuscendo più a sopportarne il peso decise di suicidarsi ancora giovanissimo a 39 anni, la stessa età di Caravaggio. Il destino ne avrebbe protratto la memoria anche per coloro che ignorano l’arte dedicando al suo nome una via periferica di una delle tante città italiane.

Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907)
Speranze deluse, 1894. Olio su tela dim. 110 x 170 cm. Collezione privata, Roma.

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