Giuseppe Bottai, la politica razziale e i rapporti italo-tedeschi

di Nicola D’Elia

Nel settembre del 1995, l’allora sindaco di Roma Francesco Rutelli lanciò la proposta di dedicare una strada a Giuseppe Bottai in occasione del centenario della nascita. L’intenzione di Rutelli era di dare a Bottai un riconoscimento per l’importante ruolo di organizzatore culturale che aveva svolto durante il regime fascista, ‘allevando’ e proteggendo intellettuali destinati a diventare figure di primo piano nell’Italia antifascista del dopoguerra. Nello stesso tempo, l’iniziativa del primo cittadino della Capitale voleva contribuire a promuovere una riconciliazione nazionale in un Paese che manca di una memoria storica condivisa riguardo alle esperienze del fascismo e della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, il progetto di Rutelli incontrò un’aspra opposizione nella comunità ebraica italiana e in alcuni ambienti politici e intellettuali di sinistra. Costoro accusarono il sindaco di incoraggiare una rivalutazione revisionista del regime fascista e rilevarono che Bottai, servendo come ministro dell’Educazione Nazionale all’epoca delle Leggi razziali, fu responsabile dell’espulsione degli ebrei dal mondo della scuola e dell’università. In un clima così teso, la proposta di intitolargli una strada, che era stata già approvata dalla Giunta comunale capitolina, fu ritirata.

La vicenda suscitò accesi dibattiti che trovarono eco anche sulla stampa internazionale. Al centro delle discussioni vi era la controversa personalità di Bottai, il quale aveva sì applicato con rigore e determinazione i provvedimenti antisemiti nel settore di sua competenza, ma era anche stato uno degli artefici dell’Ordine del giorno approvato dal Gran Consiglio il 25 luglio 1943 che aveva esautorato Mussolini. Successivamente, Bottai si era unito alla resistenza contro il nazifascismo arruolandosi nella Legione straniera.

Sul piano storiografico, la figura di Bottai ha dato luogo a interpretazioni contrastanti. Soprattutto, resta aperto il problema di comprendere le ragioni che lo spinsero ad approvare la politica razziale del fascismo. Fu la sua posizione dettata da mero opportunismo, e precisamente dalla preoccupazione di non essere emarginato politicamente? Oppure fu influenzata dai pettegolezzi che circolavano negli ambienti nazisti circa la sua presunta origine ebraica, tesi a screditarlo come un oppositore della campagna razziale?

Siffatti interrogativi si intrecciano con un altro aspetto cruciale dell’esperienza politica di Bottai nel regime fascista: l’adesione alla svolta filotedesca di Mussolini. Infatti, pur non essendo un simpatizzante del nazionalsocialismo, eglì – nella carica di ministro dell’Educazione Nazionale, che ricoprì dal novembre 1936 al febbraio 1943 – dedicò molto impegno al rafforzamento delle relazioni culturali italo-tedesche. E, a partire dal 1938, prese a considerare il razzismo come un potente fattore di coesione tra le potenze dell’Asse, senza far mancare all’alleato tedesco la sua collaborazione sulle questioni razziali.

Che cosa convinse Bottai ad appoggiare l’alleanza con la Germania e la politica antisemita? Per rispondere a un simile interrogativo può essere utile considerare i presupposti ideologici sui quali si basava l’Asse Roma-Berlino. Esso coltivava una visione della civiltà europea radicalmente opposta agli ideali liberaldemocratici dei Paesi occidentali, che faceva perno su una politica autoritaria, su un’economia diretta dallo Stato e su una cultura imbevuta di valori antimaterialistici. Anche Bottai vedeva nelle democrazie occidentali i veri nemici del fascismo. A suo giudizio, il Nuovo Ordine Europeo che sarebbe seguito alla vittoria militare delle potenze dell’Asse, avrebbe dovuto seppellire i principi su cui si basava il sistema di Versailles dando vita a una civiltà alternativa a quella delle democrazie plutocratiche e reazionarie. La missione delle potenze dell’Asse era quella di rigenerare la società europea corrotta dall’individualismo borghese.

Dunque, la decisione di Mussolini di entrare in guerra a fianco della Germania era assolutamente coerente con i presupposti ideologici del fascismo di Bottai, per il quale l’intesa con il Terzo Reich offriva al regime fascista l’opportunità di rivitalizzare i suoi progetti rivoluzionari e corporativi. Per questa ragione, il gerarca considerò suo compito precipuo convincere gli intellettuali italiani della necessità di unirsi alla Germania nella guerra contro le democrazie occidentali. È degno di nota che Bottai aveva salutato con favore il patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica del 23 agosto 1939. Ai suoi occhi, un simile accordo lasciava intravedere la prospettiva che Italia, Germania e Unione Sovietica si unissero in un fronte rivoluzionario contro le potenze capitalistiche.

Anche la posizione di Bottai nella campagna razziale fu profondamente influenzata dai suoi convincimenti antiborghesi. Gli ebrei erano visti come l’epitome del borghese decadente, amante della vita comoda e privo dello spirito marziale; sicché rappresentavano un ostacolo alle aspirazioni totalitarie del fascismo. Dal suo canto, il regime hitleriano dimostrava quanto fosse efficace adottare una piattaforma antisemita al fine di accelerare il processo di costruzione del totalitarismo e distruggere i valori borghesi incarnati dall’ebreo. Bottai vide dunque nell’alleanza con la Germania e nell’antisemitismo le leve per rilanciare gli obiettivi rivoluzionari e antiborghesi del fascismo.

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