Giovanni Brancaccio, un gentleman della storia

di Antonio D’Andria 

Sarà dura sapere che non avremo più a che fare con un galantuomo come Giovanni Brancaccio. Classe 1949, napoletano, storico; di Brancaccio sono questi i dati “ufficiali”. Mi interessa, però, piuttosto evidenziarne le qualità di storico di peso, mai pomposo, mai autoreferenziale, ma sempre aperto al dibattito e pronto a guidare e spronare con autorevolezza e attenzione le giovani generazioni di studiosi che, direttamente o indirettamente, si sono formate sulla sua lezione. Sapeva incoraggiare e correggere, senza mai alzare i toni, senza mai umiliare, ma, con un sorriso costante e l’ironia che molti ricorderanno, aveva la capacità di indirizzare i giovani (e meno giovani) studiosi verso più ampi orizzonti.

È così che lo ricordo e che l’ho conosciuto da giovane dottorando nel 2002, quando faceva parte del Collegio Docenti del Dottorato di Ricerca Interuniversitario in Storia dell’Europa mediterranea dall’Antichità all’Età Contemporanea. Con me, che iniziavo a muovermi sul terreno accidentato della storiografia del Regno di Napoli nella prima Età moderna, fu prodigo di consigli sulle letture da intraprendere. Iniziai proprio con il suo volume del 1991, Geografia, cartografia e Storia del Mezzogiorno, pubblicato per i tipi di Guida, in cui, con linguaggio sintetico e mai oscuro (problema, quest’ultimo, comune a tanta parte dell’accademia italiana, ma che a Brancaccio non appartenne mai), affrontava il complesso reticolo delle interazioni tra letteratura storiografica e periegesi nella storia della storiografia del Regno di Napoli nel corso della modernità. Un tema che pochi, allora, trattavano con cognizione di causa e che Brancaccio affrontò, in questo volume, con rigore e dovizia di riferimenti bibliografici e testuali ben contestualizzati. Del resto, si trattava di un argomento che aveva ben presente e che con rigorosa attenzione maneggiava essendosi occupato anche del versante tardo-moderno nel ponderoso saggio Napoli e la Campania, nel XV volume della monumentale Storia del Mezzogiorno diretta da Giuseppe Galasso e Rosario Romeo, pubblicato nel 1990. L’attenzione primaria di Brancaccio, comunque, era stata rivolta all’aspetto economico e geopolitico, sempre al centro delle sue ricerche, a partire dal saggio del 1988 La Campania industriale: bilancio storiografico, nel volume curato da Lucio Avagliano L’Italia industriale nelle sue regioni, per continuare, per citare solo alcuni apporti, nei suoi contributi a L’Ottocento curato da Umberto Eco per RCS nel 2008 e nel saggio Dalla crisi monetaria alla stagnazione: la vicenda dell’economia nel volume collettaneo del 2014 Il Regno di Napoli nell’età di Filippo IV (1621-1665).

Direttore del Dipartimento di Studi Filosofici, Storici e Sociali dell’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara dal 2003 al 2010 e Presidente del Corso di Studio in “Lingue e Letterature Straniere” della stessa dal 2011 al 2016, il professor Brancaccio aveva profuso, in questa veste, una viva energia, supportata dalle sue enormi doti umane. Proprio per l’Abruzzo aveva speso notevoli energie, culminate in diverse pubblicazioni, a partire dal notevole saggio del 2011 1969-2009. Quarant’anni di dibattito storiografico. Le città degli Abruzzi nell’Età Moderna, nel volume di Giuseppe Galasso, Le città del Regno di Napoli nell’età moderna. Studi storici dal 1980 al 2010 o ancora, sempre nel 2011, Feudalità e Governo locale nel contado di Molise e negli Abruzzi in età aragonese e spagnola e Economia e rendita feudale negli Abruzzi e nel Molise (secoli XVI-XVII), nel volume di Musi e Noto Feudalità laica e feudalità ecclesiastica nell’Italia meridionale.

Con Giovanni Brancaccio, strappatoci da una dolorosa malattia, se ne va una figura di gentiluomo a livello scientifico e umano, uno storico di statura che ha operato con sempre viva coscienza della sua missione di insegnante e ricercatore.

Il professor Brancaccio che, a convegni e seminari, si accostava a noi giovani alle prime esperienze da ricercatori con un sorriso e che, dall’alto delle sue numerose letture, ci invitava a proseguire, spesso correggendoci con ironia e stile. Doti che mancano, spesso, agli accademici di oggi e che rimpiangeremo con dolore di aver perso con la scomparsa di Giovanni Brancaccio.

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