Freccia Roma-Napoli – Advertising Tokyo- Rapsodia olimpica

di Maria Rita Battaglia
Le campane del mezzogiorno riscattano dal dominio della mente. Tra l’ondeggiare sommesso e molle delle foglie, Il fiume lentissimo e biondo sussurra, quasi inaudibile, il comando palindromo eternamente ricorsivo, cangiante da lusso a dovere, con le sue pagliuzze d’oro. ‘Ama’. È un trasalimento perdonabile, come un bacio furtivo, come uno scorcio intatto, dal finestrino del treno ad alta velocità, uno sprazzo corale fragile e forte di secoli, o appena uno spruzzo d’acqua di vacanza venduto a caro prezzo televisivo per autenticità, ghiaccio alchemico sgretolato e poi pietra di una costruzione valida e percorribile…. Sarà che è nelle ferite la scaturigine di ogni possibilità… anche in quelle della terra. Sarà che in realtà, tutte le ferite sono quelle della terra.
I volti rugosi di Salgado, sulla rivista, si confondono con le pieghe dei pachidermi, poster schiacciati sull’efficienza delle city, senza le quali non li vedremmo. Ci si copre come Arlecchino d’inverno coi lembi dell’Eden, ma all’inizio il freddo non c’era. Si immagina una bilancia mondiale a memoria dell’unità iniziale. Riequilibrare, redistribuire, rialzare.
Gli obelischi punteggiano le piazze di Roma, svettanti e significativi, coppie si allacciano ai bordi delle fontane, bambini giocano davanti ai testimoni muti del tempo invitto e della coscienza della civiltà.
Un ruvido scultore con mani callose e finissima fattura spaccia la propria pietra per quella di un noto artista, il suo talento invidioso crede alla giustizia dei millenni che equipara gli oggetti. Non è affar nostro, questa livella e non convince l’antagonismo, ma si comprende la forza del fatto e dell’idea che la parte indistruttibile del ‘messaggio’ si impone sulla circostanza erronea; è un confronto duale, ma non manicheo, che avviene grazie alla forza rettificante del tempo. Suggerisce la speranza che il caso ripeschi ciò che è stato scartato, che il caso giustifichi, e che il caso sia Dio. il sasso è rastremato e ricamato al tatto, quasi fosse da leggere in braille. Dal disegno al segno siamo abituati a comparare le forme, ad aprire i sistemi. Per secoli il fascino dei geroglifici ha incantato curiosi, studiosi, passanti, gatti e monelli, abituati a trattare i segni di civiltà straniere con la consuetudine a cenni ed ipotesi, che non toglie stupore alla normalità; gli obelischi sono come gli alberi di Baudelaire che sussurrano parole, criptate e rivelate.
Le utopie e le ectopie sembrano poco più che tentativi ininterrotti di aprire la serratura che resiste ai suoi scassinatori e si apre al tocco, -destinato- dei clavigeri, finché gli aneliti ad un certo punto confluiscono in una risposta. Salto di livello, scatto evolutivo. Riscatto delle attese, emendazione degli errori. Con la fiducia nella risolvibilità del gioco si muovono gli scienziati, si muovono i migranti, si muovono i santi. Chi ha tradotto la stele lo sa. La mente unica – neuroni umili e insigni- recepisce in anticipo di secoli le immagini oniriche, catalizza e traduce le grandi onde dal permanere dei fatti all’espiazione dei misfatti. Alla fine la decodifica avviene, le terre promesse si raggiungono. Qualcuno sta già parlando di una nuova geografia, globale e locale in ogni angolo della terra. La rete morbida, il passo ulteriore la medaglia dalla doppia evocazione, volendo la “rotonda sfera” lanciata in greco dai frontoni iniziatici alle reti di silicio che connettono tutti a tutti, e la beatitudine aramaica e nazarena delle piaghe sanate fino agli ultimi confini. A Napoli c’è la y di Forcella, l’Igheia che sbaraglia, il Cristo glorioso. Arte, profezia, geniale intuito; la veste scenica precede la soluzione inattesa, lo squarcio è il sole, col suo filo che si dipana imperterrito, capace di passare attraverso un pertugio, segnare il luogo e il tempo e aprire il varco.
Dall’altra parte del mondo, le fanciulle con gli abiti a pieghe, come le nivee colonne, accendono la fiaccola olimpica, il mondo riceve la percezione cosmica e la benedizione superiore che rende il tempo progressivo e sempre uguale a se stesso. La modulazione della coincidenza degli opposti diventa un ritmo comprensibile. L’altra faccia della guerra di ieri, speranza olimpica, è già il modo, la selezione, la palestra, il messaggio, la primizia imperterrita di domani, la sfilata delle bandiere.
Advertising. Il logo di Tokyo è sotto i nostri occhi silenzioso come una Ferrari, come le bracciate dei nuotatori in piscina, e le lame degli schermidori, eleganza fattiva in piena convalescenza del mondo.