Ernesto Buonaiuti
di Oreste Del Buono e Giorgio Boatti
RITORNARE A RICORDARE don ERNESTO BUONAIUTI
CHE LA CHIESA SCOMUNICO’ (E ANCORA NON E’ TORNATA SUI SUOI PASSI RIACCOGLIENDO QUESTA FIGURA LIMPIDISSIMA DI PROFETICO CREDENTE E DI LUMINOSO STUDIOSO)
così, con Oreste del Buono, rievocavo la figura di don Ernesto Buonaiuti su La Stampa, nel dicembre del 1999)
“Sbagliare è umano ma – perseverare nell’errore – diabolico.E dunque è del tutto comprensibile che chi si sente vicino a celesti disegni riesamini le vicende trascorse e chieda venia per quanto, col senno di poi, paiono tragici inciamponi.Siano genti catare passate a fil di spada o roghi sul quale si sono bruciati eretici e streghe, l’ammissione degli errori trascorsi e la richiesta di perdono già si è alzata più volte e con autorevolissima voce. La stessa che s’appresta, ai popoli investiti dalle violenze dei crociati, ad esprimere rincrescimento e pena per quanto è accaduto una bella manciata di secoli fa. Da questa visione poderosamente dispiegata nel tempo e allargata a scenari in cui s’accostano e confliggono civiltà e fedi sparse per il pianeta la vicenda di un solo uomo – sacerdote cattolico scomunicato dalla sua Chiesa, tutta una vita vissuta nella sua amatissima Roma dove è condannato ad un isolamento feroce durato sino alla morte – parrebbe dolorosamente irrilevante.Dunque non solo indegna di riesame ma persino di ogni possibile memoria: eppure la vita buona e tribolata di Ernesto Buonaiuti avrebbe diritto anch’essa a qualche riparazione.
E questo non tanto per le scomuniche che – sacerdote ordinato nel 1903, protagonista del movimento modernista all’interno del quale con lucida intelligenza dirigerà per un quinquennio la “Rivista storico-critica delle scienze teologiche” e pubblicherà saggi e articoli che gli varranno ripetute condanne delle gerarchie e imposizione di atti di sottomissione – lo colpiscono ripetutamente. La prima è del 1921 quando viene accusato – sempre su regia dispiegata da tenacissimi nemici inquadrati nella Compagnia di Gesù – di aver insegnato “proposizioni teologiche erronee e anche manifestamente eretiche”.
Riammesso nella Chiesa dopo aver accettato un costante controllo sulle opere alle quali sta lavorando gli viene comminata una nuova scomunica nel marzo del 1924: Buonaiuti è sospeso a divinis. Non solo: oltre a mettere all’indice tutti i suoi testi e i suoi articoli l’autorità ecclesiastica gli vieta di scrivere, di parlare in pubblico, di insegnare materie religiose in scuole pubbliche.Ed è a questo punto che la faccenda varca i confini delle questioni di fede per trasformarsi in una fredda persecuzione che calpesta fondamentali valori di civiltà.Ernesto Buonaiuti infatti non è solo un sacerdote. E’ anche professore di storia del Cristianesimo all’università di Roma: una cattedra che tiene, con crescente prestigio, dal 1915Al Vaticano brucia proprio questo ruolo di Buonaiuti che, al di là del tocco accademico, è vero e operosissimo intellettuale legato al meglio della cultura europea nonché sollecito maestro di valorosi allievi (tra questi, tanto per citarne qualcuno, Arturo Carlo Jemolo e Ambrogio Donini).Così si cerca di cacciarlo con ogni mezzo dalla cattedra. Accade dopo la prima scomunica quando, essendosi Buonaiuti ammalato gravemente, esprime il desiderio di essere riammesso nella Chiesa: il cardinale Gasparri lo va a trovare sollecitamente.Presso il suo letto di ammalato pone, come condizione della cancellazione della scomunica, la rinuncia alla cattedra universitaria. Così, nel suo bellissimo e ormai introvabile “Pellegrino di Roma”, Buonaiuti rammenta l’accaduto: “l’Eminentissimo Segretario di Stato fece ricorso a parole più aspre per indurmi a segnare la mia rinuncia alla cattedra… Io, con un filo di voce, dissi decisamente che quella era la maniera di prendermi in un poco degno ricatto estorcendo al mio spasimante desiderio di essere riammesso nella chiesa visibile una rinuncia alla cattedra che mi sembrava costituisse nel medesimo tempo un suicidio, un’abdicazione, una vile diserzione”.La cosa si ripete quando, nel 1924, sta per essere comminata la scomunica definitiva. Buonaiuti viene chiamato dal segretario del Sant’Uffizio che afferma “il vostro insegnamento è fatto apposta per turbare le coscienze. Voi dovete cambiare. La storia del Cristianesimo è troppo delicata, perché non la scambiate con la cattedra di Scienze naturali?”. “La realtà – replica il professore ancora per poco in abito talare – è che volete strapparmi all’università per ridurmi all’impotenza”.Il Vaticano, pur di non vedere lo scomunicato in cattedra, arriva a minacciare l’interdetto sull’università romana. Negli anni successivi, Buonaiuti diventa una sorta di fragilissima pedina che il Vaticano e il Regime fascista muovono sulla scacchiera delle trattative in corso per il Concordato. Mussolini, per ingraziarsi il Vaticano, obbliga Buonaiuti a lasciare la cattedra per un incarico extra accademico (la pubblicazione dell’opera integrale di Gioacchino da Fiore). Però, non appena c’è maretta nelle trattative, il Duce – siamo nell’autunno del 1928 – dispone che ritorni all’insegnamento. Tuttavia si sta arrivando ormai al Concordato del febbraio 1929 e così Buonaiuti è nuovamente allontanato dalla cattedra poiché l’art. 5 del trattato prevede che “i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in un insegnamento, in un ufficio o in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico”. Dirottato ancora in compiti non accademici Buonaiuti viene esonerato definitivamente dall’università quando, nel 1931, rifiuta – con pochissimi altri docenti – di prestare giuramento di fedeltà al Regime.Vivrà poveramente, con la madre, prodigandosi in un lavoro intellettuale che ha del prodigioso: chi scorra le sue bellissime lettere raccolte da Donini in “La vita allo sbaraglio. Lettere a Missir (1926-1946) incontra un uomo che trasmette ancora oggi un senso di operosità, una testimonianza di veridicità e di sollecitudine verso ogni vita che neppure l’immensa sofferenza, le ristrettezze e l’isolamento riescono a oscurare. La sua vicenda – con la caduta del fascismo – parrebbe dover approdare finalmente ad un dignitoso se non lieto finale. Non è così: i governi dell’Italia liberata lo reintegrano nell’insegnamento ma non gli consentono di salire in cattedra. De Gasperi minaccia perfino una crisi di governo quando si profila il suo ritorno in un’aula. Buonaiuti ben presto toglie il disturbo, morendo nella sua povera casa di via Monte Faraone 7, a Roma. Una miocardite lo spegne mentre, nelle chiese di Roma, tutte le campane si mettono a suonare: è il sabato di Pasqua del 1946.
Oreste del Buono Giorgio Boatti
da leggere:- E. Buonaiuti, Pellegrino a Roma, Editrice Darsena, Roma 1945.- E. Buonaiuti, La vita allo sbaraglio. Lettere a Missir (1926-1946), La Nuova Italia, Firenze 1981
