Due linee introduttive sul concetto di identità
di Maria Rita Battaglia
L’identità è l’elemento distintivo e irriducibile che rende unico e riconoscibile qualcuno o qualcosa. I Greci si esprimono in termini di ‘to tin en einai’ – τί ἦν εἶναι- di quid distintivo nell’essere, i Cinesi parlano di punto di contrazione del Qi, che è energia vitale o elemento inter-connettivo di tutto con il tutto, i Bizantini si esprimono in termini di quintessenza, ovvero di punto di unità nel dinamismo che è oltre i quattro elementi ed i cinque sensi…
L’essenza di ogni essere, in greco Pemptousia, è quella che Aristotele aggiunse alle altre quattro: aria – acqua – terra e fuoco, poi sviluppata dalla filosofia e dalla teologia; per esempio, la quintessenza di Dio è amore e la sua manifestazione è bellezza1
Proseguendo secolarmente sulla strada aristotelica, l’identità è argomento contemporaneo della scienza, della teologia, della teosofia, della neuro-scienza, della bio-robotica, della fantascienza, della futurologia, della sociologia, della politica, dell’economia, del diritto; essa è definibile e riconoscibile per ‘certe e determinate forme’ e codificabili comportamenti, che si tratti di un gruppo, una cultura, un popolo, una persona in carne ed ossa, una persona giuridica, un ente culturale o politico, una multinazionale. Si parla di identità biologica, sociale, familiare, lavorativa, scolastica, morale, religiosa, politica, umana, universale, interstellare, cosmica.
L’identità si considera distinguibile, aggregabile, disaggregabile, riconoscibile, trasformabile, imitabile, distruggibile, irriducibile nell’essenza, appartenente ad una unità sorgiva ed in essa confluente, a seconda della prospettiva. Nel caso degli esseri umani, l’identità è dinamicamente interagente, secondo qualcuno, in maniera similare al principio dei vasi comunicanti che attingono inavvertitamente ad una vasca comune. Non è l’unica immagine, i modelli sono tanti, in ogni caso non siamo monadi e ci vestiamo gli uni gli altri di aspettative, pregiudizi, proiezioni. Quando l’architettura relazionale è giusta, si tratta di apporti costruttivi, altrimenti di distorsioni distruttive. Nel processo di linking la percezione del sè e dell’altro, corretta o scorretta, si lega ovviamente all’elemento della ‘volontà e della rappresentazione’, ma non può eludere l’essenza, nella parte che è illuminata e in quella che non lo è. L’identità potrebbe essere impronunciabile e profonda dove le nostre parole potrebbero essere segmentanti e parziaali. Impagabile e invitta è la Rosa di Shakespeare, che profumerebbe ugualmente anche se non si chiamasse così, col suo salvifico What’s in a name?
Per gli eremiti ortodossi il trittico cultura – scienza e religione si inserisce nel movimento dello spirito umano che proviene da una Identità di sorgente che regge le altre e ad essa arriva.
Per gli studiosi di logica, di grammatica, di grammatica generativa, di grammatica genetica, di grammatica informatica e di bio-robotica, è il punto di identità in azione che noi leggiamo nelle diverse categorizzazioni e segmentazioni, fino a rendere reali, a torto o ragione sostanziandoli, i diversi aspetti del suo muoversi: per esempio l’agente rispetto ai modi delle azioni stesse, espressi dal verbo. Si pensi a quando studiamo e tendiamo a rappresentare le azioni e gli stati temporali come diversità, sopportando una fatica non diversa da quella per cui i primitivi stentano a ricondurre ad unità membra e parti. L’identità riguarda appunto ciò che siamo rispetto a come ci percepiamo, o rispetto a come siamo percepiti, o ancora rispetto a come siamo in grado di definirci2, e tocca la misura in cui restiamo prigionieri delle nostre e altrui definizioni.
Ciò che siamo potenzialmente e ciò che siamo attualmente, ciò che siamo nelle diverse contestualizzazioni e ciò che siamo indipendentemente da ogni contestualizzazione, riporta all’essenza connettiva, duttile e mediatrice di ogni comunicazione ed interazione, che è una parte dell’identità del Qi, a cui si accennava, e che, in qualche modo, in moderna chiave Gestalt, tiene conto della somma, del prodotto fattoriale, della totalità, della dimensione sia statica che dinamica, degli elementi costituivi di una qualunque identità, senza entrare in un discorso di trascendenza o di immanentismo, di opposizione o di traduzione con diverse parole di cose, persone, enti o Dio.
Se pensiamo agli spettacoli di apertura dei Mondiali di calcio o delle Olimpiadi… è facile capire come le singole identità si compongono grazie al colore degli abiti, e alle coreografe in forme diverse; qui le macro-identità sono palesi. Nella realtà è più difficile distinguere, anche quando c’è un habitus o un movimento collettivo o chiari piani di tangenza.
Per questo si parla di “identificazione”, oltre che di identità obiettiva, soggettiva, culturale, sociale, professionale, attribuita ad azioni e rappresentazioni. Per esempio come si qualifica una identità fatta non di odio, ne’ di astio, ne’ di ineleganza o parzialità, rispetto ad una fatta di valore bellico e incisività di azione a difesa dei deboli? Non conosciamo una unica architettura relazionale che nella sua stasi e nel suo dinamismo, renda giustizia contemporaneamente alle parti, ai singoli, al movimento, al tessuto connettore; se ci fosse, nella sua approssimazione, rasenterebbe un terribile totalitarismo di più o un passaggio evolutivo necessario per uno step migliore…3
2 Menzione necessaria a Wittgestein o Budda circa gli errori del linguaggio, con applicazioni in psicologia e pedagogia.
3 sull’identità come rappresentazione: E. GOFFMAN, The Presentation of self in everyday life, 1959.
Su ‘Identico cioè diverso’, dal principio di identità e non contraddizione alla coincidenza oppositorum:
https:// ritirifilosofici.it/identico-cioe-diverso/.
L’identità è la risultante, si diceva, di proiezioni che nel loro significato deteriore sono illusioni infrante, e nel loro significato superiore sono possibilità formative e forme d’amore.
Viviamo una sfasatura continua tra ciò che assumiamo come vero e come falso, tra le verità parziali e concorrenziali, per cui vediamo quasi contemporaneamente l’identità come riconoscibilità nella simulazione e nella dissimulazione, o solo nell’espressione, oppure come imitabilità, come tradizione, come innovazione, come permanenza, come prima ballerina e come chorus line, come univocità e come ambivalenza, nel paese dalle mille ombre dove ci sono più sorgenti luminose, ma potrebbe essercene anche una sola. Alla fine, che sia identità di genere, sociale, biologica, che prevalga qualità di autodeterminazione o inconsapevolezza, che si parli di corpi sottili o di traduzione in biosilicio di sistemi con capacità di apprendimento, scelta e libero arbitrio di frontiera, che ci sia recupero provvidenziale del sè o sua evaporazione…. che sia questione di quaerendo invenietis… o imperscrutabile serendipity… è argomento difficile per le temperature d’estate.

Più semplicemente l’identità è avere un cumulo di “essenze” che inspiegabilmente si trovano a comporre un “profumo” unico, irripetibile, distinto da altre identità, ma riconoscibile nella sua eterna unicità.