Deceduti illustri

di Francesco de Cristofaro

La giornata di ieri è stata caratterizzata da un numero inconsueto di deceduti illustri nel campo della cultura e dello spettacolo. Sui blog e sui social (o perlomeno nella mia bolla) moltissimi hanno voluto onorare, con parole accorate e con testi spesso molto belli e anche analitici, la memoria di Vitaliano Trevisan. Segnalo ad esempio che “Le parole e le cose” ha riproposto una recensione di Andrea Cortellessa e un’intervista di Gilda Policastro, entrambe di livello altissimo.
E i giornali? Come se l’è cavata, per esempio, il più autorevole e letto quotidiano della mia città – fondato nel 1892 da Edoardo Scarfoglio e da Matilde Serao – nell’arte antica della necrologia?
Vediamo un po’, cercando di mantenere lo sguardo freddo ma vigile. “Il Mattino” dedica una “civetta” in prima pagina al grande attore Sidney Poitier, “quell’Oscar che cambiò la storia di Hollywood” (in quanto di pelle nera, of course) e un’altra ad un regista-icona dello “stracult“ italico, Mariano Laurenti, “re dei b-movie tra D’Angelo col caschetto e la Fenech scollacciata” (rido). Agli stessi Poitier e Laurenti, scomparsi più che novantenni, vengono riservati due paginoni nell’edizione nazionale, con altrettanti “coccodrilli” di ottima firma e di ottimo livello. Bene.
Meno bene il resto. Poche striminzite e asettiche righe redazionali su Trevisan vengono relegate in cima alla p. 14 dell’edizione odierna. Ora, tutte le morti sono tristi: siamo d’accordo. Ma forse un uomo che finisce i suoi giorni, in modo tragico e in condizioni tragiche, ad appena 61 anni; un uomo la cui morte potrebbe (in un paese civile) riaprire una discussione seria sullo spinosissimo problema dell’assistenza psichiatrica; un uomo da molti considerato come una delle figure più significative della letteratura italiana contemporanea: ecco, forse un uomo così meriterebbe un’attenzione diversa da parte di una testata di gloriosa tradizione quale è “Il Mattino”. Ma il dato più imbarazzante è che, almeno a giudicare dal titolo del pezzo, il merito maggiore di Trevisan (autore di un riconosciuto capolavoro come “Works”, per dire) risiederebbe nell’aver scritto un testo teatrale per il “nostro“ Toni Servillo. Chi mi conosce sa quanto ami questo attore, eppure non posso nascondere che la cosa mi inquieta un po’, sembrandomi un indizio (tra i mille) di quel provincialismo partenopeo che sta paradossalmente divenendo, nell’epoca della globalizzazione, sempre più greve e sempre più stucchevole.
Al povero Trevisan è andata comunque meglio che alla cara amica Marcella Marmo. Come è ben noto, Marcella è stata una raffinatissima e autorevolissima storica; eppure, sempre secondo il matto matto titolista del più prestigioso quotidiano del Mezzogiorno d’Italia, lei sarebbe da ricordare soprattutto per il fatto che qualche anno fa un famoso filologo la identificò, sbagliando, con la “nostra“ Elena Ferrante (ma tengo a precisare che l’articolo di Titti Marrone è, al contrario, assai buono). Una barbarie. Ricordo che all’epoca incontrai Marcella a San Martino: era indignata per lo scoop-fake e speranzosa che l’incidente venisse presto archiviato. Le dissi di non preoccuparsi. Pietosa insania.

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