David Maria Turoldo
di Mariangela Maraviglia
Studiare la vita di David Maria Turoldo ha significato incontrare un uomo che ha avvertito come pochi altri «l’enigma e la necessità» della poesia. Lo segnalava il poeta Andrea Zanzotto che gli fu grande amico. Una vita intensissima e tumultuosa la sua, di scrittura e di azione, ma il senso profondo e unificante del suo lavoro e della sua vita era nella poesia.
Gli ultimi articoli che mi vengono richiesti a trent’anni dalla morte, a me, storica, sono sulla sua poesia. Un segno dei nostri tempi, forse del nutrimento di cui più abbiamo bisogno.
Scriveva:
«Sì, sono convinto che un poeta è un grande “orecchio” sul mondo: sul mondo del sensibile e dell’ultra-sensibile; sul mondo del suono come su quello del silenzio; orecchio in ascolto della pietra, del crescere del filo d’erba; in ascolto del “rabbrividente silenzio” nella luce dell’alba; in ascolto del sospiro di Dio nell’alito del vento./ Antenna sempre tesa a registrare “messaggi in arrivo dalle galassie”; a trasmettere almeno un “tic” udibile della sua presenza. Intelletto più che ragione. Un intelletto d’amore; un cuore che si fa conchiglia, che raccolga e conservi e tramandi all’infinito il canto degli oceani, il gemito delle risacche./ Poeta, uomo in ascolto di ogni voce; in ascolto soprattutto dei silenzi di Dio». (Poesia e ascolto, in «Servitium», 24 (1992) 70-71, p. 111).