Chi era mio padre

di Monsignor Valentino Di Cerbo

Mio padre, Vincenzo Di Cerbo, era un papà all’antica: era premurosissimo ed esigente, non molto espansivo, anche se orgoglioso dei figli. Ci teneva che fossero seri, apprezzati e che si facessero onore. Aveva una fede semplice e solida, osservante dei doveri senza essere bigotta. Era molto devoto della Madonna del Carmine. Per molti anni fece parte del Comitato per la Festa. A differenza di mia madre, come la stragrande maggioranza dei Frassesi, nel Referendum del 1946 votò per la Monarchia e fino agli anni ’60 Partito Liberale, per poi passare ultimamene alla DC.
Era Esattore delle Imposte dirette e Tesoriere comunale. A casa parlava poco del suo lavoro, che invece divenne frequente oggetto delle conversazioni familiari, quando il Sindaco Sebastiano Giaquinto, per vendetta e avvalendosi dello strapotere del suo partito, la Democrazia Cristiana, cercò di togliergli l’Esattoria, esprimendo (senza alcun fondato motivo) parere negativo alla riconferma che poi fu concessa dal Ministero delle Finanze (per fortuna in mano ad un Ministro Socialdemocratico) su parere ampiamente positivo della Intendenza di Finanza di Benevento. Con tale operazione il Sindaco Giaquinto (cui Frasso deve pur essere riconoscente per tante cose) tentava di togliere il lavoro ad un padre di 5 figli minorenni! Talora penso che anche nei nostri piccoli contesti è passato qualche…. Putin.
La professione dell’Esattore allora comportava preoccupazioni e responsabilità (raccogliesse o non raccogliesse i tributi dalla gente, ogni bimestre era comunque obbligato a versare la somma stabilita allo Stato).
A quei tempi la vita dei contadini era legata agli agenti atmosferici… Un annata che andava male era causa di miseria e di debiti… anche con lo Stato cui non si riusciva a versare le tasse. Gli esattori del tempo potevano rifarsi tramite sequestri, pignoramenti, ecc.
Portando la Comunione agli anziani, mi è capitato spesso di sentire gente che mi parlava con le lacrime agli occhi e con immensa gratitudine di mio padre che non infieriva sui contribuenti inadempienti, ma aspettava che avessero i soldi per pagare le tasse. Mi ha fatto piacere conoscere questo lato umano di mio padre, che, come le persone di una volta, era poco propenso a confidarsi con i figli.
All’Esattoria si recavano anche gli operai che facevano lavoretti per il Comune. Erano spesso analfabeti che sul mandato di pagamento “mettevano la croce” che doveva essere controfirmata da altri. In genere veniva zì Peppe Merrone, che era disponibile e aveva la bottega vicino all’Esattoria. Ma per la povera gente che umiliazione far sapere i fatti propri agli estranei!
C’erano poi degli analfabeti che avevavo imparato a fare la firma come un disegno. Ricordo un omaccione che in una freddissima giornata d’inverno, metteva la firma e sudava… Si tolse persino la giacca… Finalmente firmò….. e dopo l’impresa rivolto verso mio padre commentò: “On Viciè, vuliti sapè, meglio zappà nu muoio ‘e terra!”. Poveretto! Dovrebbero saperle queste cose i nostri giovani per rendersi conto di quale fortuna sia l’istruzione e dei sacrifici enormi fatti dalle passate generazioni per assicurare loro un futuro migliore. E molte persone così andavano anche all’estero!!!!
Gli adulti maschi di un tempo erano molto riservati, ma è stato bello per noi figli scoprirne – spesso quando non c’erano più – l’umanità e l’onestà che ci hanno trasmesso con poche parole e molti esempi.

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