Bruno Cavallini
di Vittorio Sgarbi
Mio zio Bruno Cavallini, oltre che un “legame di sangue”, ha soprattutto con me un collegamento di ideee di pensieri. Con una vitalità assolutamente inesausta (che mi è sicuramente passata per via di testa e non per via di sangue) che era poi quella ammirata, in lui, dai suoi amici, nei momenti in cui pacatamente conversava, metteva insieme la storia civile e quella letteraria, identificava i riferimenti a Foscolo, a Carducci, a Dante, a Benedetto Croce con una straordinaria capacità, affascinando molti che ancora lo ricordano. Mio zio ha molto parlato e detto, e quasi nulla ha scritto. Era un “atleta” delle lezioni private, consentendosi in tal modo di triplicare lo stipendio. Si arrabbiava su qualunque cosa non corrispondesse alla sua idea lucida e limpida del mondo e, dove l’argomento meritasse, non sentiva stanchezza. Quel riottoso zio, coltissimo, sofisticato e sottile, quasi un Bobi Bazlen che quasi nulla scriveva, era totalmente estraneo a ogni forma di potere culturale, e l’unico potere che poteva rappresentare era quello della sua intelligenza, della sua passione.
