Ascoltando John Coltrane
di Carlo Serra
Fra le cose più belle accadutemi l’anno scorso, c’è stata, naturalmente, la curatela del libro di Feld, che mi ha riportato in conttatto con la musica di una delle figure più impressionanti del 900 musicale, John Coltrane. E’ certamente utile conquistare sguardi esterni sulle cose che amiamo e che studiamo, e che crediamo, in qualche modo, di conoscere. E, naturalmente, con la stessa comoda superficialità con cui accettiamo i linguaggi sempre più gergali delle filosofie che annusiamo, così abbiamo pronto un comodo elenco di luoghi comuni, per parlare, ad esempio, del patimento corporeo dei corpi sonori, per prendere il titolo di un libro molto interessante, pubblicato anni fa, e che la lettura di Feld mi spinge a ripensare.
Certo, il patimento lo vediamo fisico lo vediamo tutti, vediamo la meraviglia della macchina poliritmica di Elvin Jones, la cura con cui Coltrane sistema l’ancia all’inizio di My Favourite Things, uscendo ed entrando dal fuoco della performance (ce lo aveva insegato proprio Rouche), e tutto lo splendore epico di questi corpi all’opera, ripensando a un altro titolo che mi torna in mente. E siamo anche disposti a fare riferimenti, vaghi quanto basta, come , appunto, in molta filosofia, alla sofferenza, alla trance, all’Africa, al mondo della performance, costruendo sulla vitalità dell’oggetto, un sistema di schede, di caselle, di piccole parole d’ordine, ganci di portata modesta, che danno l’impressione di una comprensione profonda di un fenomeno, mentre ne rappresentano, per riprendere una bella espressione di Husserl nel carteggio con Lask, oscure mappature, inerti come un elenco che non sa aprirsi al mondo, se non torcendolo, ( temo che qui ce l’avesse, tanto per cambare, con la deduzione categoriale di Kant, ma chi lo sa, era pieno di nemici immaginari, quando si apprestava alla analisi del concetto).
Va bene, torniamo al video: con che emozione scoprire che per un musicista del Ghana il sudore, la fatica, sono forme espressive, totalmente spirituali, per far parlare uno strumento. Così il sudore, quell’intervallo intermedio tra espressione corporea,fisiologia, corpo e spirito, diventa una gocca di un elemento infinito, l’Oceano, che sta dietro al destino dell’umano. Sudare è versare un sacrificio dal proprio corpo, evocando la profondità dell’elemento oceanico, in cui gallegeremo tutti, in cui il ritmo delle onde, irregolare abituaa comprendere il senso degli intrecci della reatà e dello schiarirsi le idee, che ci tornano come bambole rotte, o forme di sedimentazione del pensiero. Cosa aggiunge tutto questo alla comprensione della performance del vero Coltrane? Forse nulla. Oppue ci insegna un modo di ripensare il piano della nostra esperienza di ascolto e visione, secondo una rpospettiva dell’umano, che certamente condivide con noi, per gran parte, l’analisi di quanto si ascolta, a poi dona questo ulteriore spessore di senso, per cui, quel processo, almeno per me, non sarà più lo stesso. Nel gioco di tracciare figure, e non perimetri, come voleva la comodtà di una tradizione di pensiero molta e sepolta da almeno 50 anni, ma ancora balbettante, una simile convergenza del senso si potrebbe chiamare cosmopoltismo, e, al tempo, senso forma di una intimità dasporica, perchè non potrò mai stringere completamente quanto dice il musicista ghanese, o Platone, o qualsiasi autore, pur essendo parti costitutive della mia storia ( mi piacerebbe notare che queste nozioni passano trasversalmente fra reale e possibile, secondo una prospettiva concettuale a cui ha fatto grande danno la nozione rigida di senso che Heidegger è andato, per altro genialmente, elaborando dopo la cosiddetta Svolta. Che questo accada ascoltando un sax soprano teso ad evocare le sonorità di uno strumento indiano, fa parte di un quadro, che mostra quanto la nozione di stile sia essenziale,e non invecchi mai.
P. S. Qualcuno mi scrive, chiedendomi perchè scriva post di questo genere, “che fanno tanto Professore di Liceo”. Rispondo che Professore di Liceo è una qualifica onorevole, io i miei me li ricordo quasi tutti con ammirazione, e tutti con affetto. Occhio non vede, cuore non duole.