Arianna Sacerdoti: la cultura generosa e viva.

di Natascia De Gennaro

L’approssimarsi delle celebrazioni per la terza Giornata Mondiale della Lingua Latina (13-14 aprile 2023) è un’occasione per ricordare, in uno scritto che si pone a metà tra un tributo alla studiosa e una commossa memoria, la Professoressa Arianna Sacerdoti, prematuramente scomparsa lo scorso dicembre dopo un ventennio di attività scientifica e un tempo lunghissimo, forse addirittura il doppio, di poesia. Arianna, infatti, aveva vestito giovanissima i panni di poetessa e narratrice. Più di una silloge poetica, da “Sentieri diversi” (2009) all’ultima “Mormorare. Poesie (2004-2021)” passando per “Diario 2004-2020”, ha lasciato, insieme ad un numero indefinibile di versi che ha composto e condiviso con i suoi affetti fino alla fine dei suoi giorni, nonché alcune fiabe destinate all’amato pubblico dei lettori più giovani.
Presentare in questa sede una rassegna esauriente della sua opera sarebbe impossibile, perciò ricorderò, ‘brevitatis gratia’, solo alcuni aspetti, provando a selezionare quelli a cui era lei stessa più affezionata e di cui parlava con particolare entusiasmo. Tra svariati articoli e saggi editi anche all’estero, specchio di una formazione accademica che travalica i confini italiani ed europei, quella che è coralmente riconosciuta come un caposaldo dell’attività scientifica della Professoressa Arianna Sacerdoti è l’epica flavia, che cominciò a studiare da dottoranda all’Università di Napoli nel 2003 sotto la guida dell’amato maestro Prof. Arturo De Vivo, e che è rappresentato dalle monografie “Novus unde furor. Una lettura del dodicesimo libro della Tebaide di Stazio (2012)” e “Tremefacta quies (Ach. 1, 242): spazi di transito nella Tebaide di Stazio e nei Punica di Silio Italico”. Nondimeno degno di rilievo è il lavoro che la studiosa ha svolto su altri autori della letteratura latina, Aulo Gellio tra gli altri, con originali analisi dei testi alla luce della scienza psicoanalitica, o seguendo i filoni tematici del sogno e del sonno.
Chi ha incontrato la sua scrittura, scientifica o lirica, ha potuto apprezzare la sua vitale e guizzante ‘variatio’, lo sperimentalismo che coniuga antico e contemporaneo, filologia e autobiografismo armoniosamente integrate.
Chi come me ha avuto il privilegio di frequentare le sue lezioni di Lingua e Letteratura latina nelle aule del Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università ‘Vanvitelli’, ha fatto esperienza di come Arianna Sacerdoti sapesse mitigare la ‘severitas studiorum’ con quel sorriso empatico che intanto dischiudeva regole auree, per la lettura metrica o la pratica della traduzione. Credo che ci fosse in Arianna un’attitudine alla benevolenza, uno spirito filantropico a contraddistinguerla, ma anche una sorta di consapevolezza di essere in fondo un epigono di maestri, antichi e moderni, esempi non solo di ‘doctrina’, ma anche di profonda ‘humanitas’. Uno di questi era stata per lei Elaine Fantham, ‘musa iocosa’ dal sorriso oraziano, come la definiva, per lei giovanissima dottoranda importante sprone e viatico per la ricerca internazionale, alla quale Arianna non si stancava di incoraggiare i suoi più capaci allievi.
Era una docente molto apprezzata dalla platea degli studenti, coi quali amava creare una comunità ermeneutica tra maestra e allievi che cominciava nell’aula, dove i classici latini erano presentati nel modo più diretto possibile, e poi continuava anche oltre, unendo tutti in un sodalizio letterario e affettivo a un tempo. Nei giorni successivi alla sua scomparsa molti di noi legati ad Arianna da più di un decennio si sono rincontrati per condividere ogni ricordo di lei.
La condivisione empatica è tema di molte sue poesie: «Ho voglia di insegnare la poesia / e parlarne con gli altri, dispiegare» (Sentieri diversi, p. 67). Così era la poesia di Arianna: semplice, spontanea e vera, «senza filtro come pane» come dice di lei stessa in una poesia (ivi, p. 16), e che, per dirla con le parole del poeta Verlaine, torce il collo all’eloquenza. Eppure era anche così colta e dotta, ricca di echi classici e frutto di un certo lavorìo formale. Recuperava figure del mito vivificandole e dialogandoci («Ulisse / mi disse», Sentieri diversi, p. 70) e accoglieva Lucrezio, Cicerone, Catullo, Stazio, particolarmente caro alla studiosa, e le sue ‘Silvae’, Virgilio, Tibullo nelle poesie sul cui sfondo si staglia l’amata natura. Talvolta sul fondo italiano mescolava parole latine e inglesi, all’insegna del plurilinguismo, come nella poesia ‘Tria corda’ che ripete il famoso sintagma gelliano a proposito di Ennio, che Arianna qualche volta attribuiva anche a sé.
Ma per parlare delle prospettive e gli approcci innovativi che informavano la sua ricerca e la sua creatività, ricorderò i suoi haiku in lingua latina. Dono del padre medico umanista, che sempre gli riconosceva grata nel ricordo, quelle brevi composizioni metriche sono state un importante lascito di Arianna per generazioni di allievi e amici: credo che chiunque l’abbia incontrata sia stato tentato di scriverne almeno uno o è stato da lei incoraggiato a partecipare a concorsi, come è successo a me. Arianna ne aveva fatto un terreno di studio originale e fertile, che intersecava la didattica del latino con i ‘Translation Studies’, che pure frequentava. Così, abbandonava l’esametro, il «rassicurante metro di salvezza» (Diario, p. 61), e promuoveva laboratori sia di traduzione che di composizione ‘ex novo’ di poesia haiku in lingua latina, rendendola viva. Sull’inedito esercizio di traduzione scrisse a più riprese, anche lasciando spazio alle penne degli allievi che vi si erano cimentati, desiderosa di valorizzare i talenti che scopriva.
Ricordo che nella primavera del 2018 venne a tenere una coinvolgente lezione-laboratorio sugli haiku agli studenti dell’Istituto Salesiano del Vomero, dove allora insegnavo: «classe pulsante / e mi diverto molto / ad ascoltarvi» fu l’haiku estemporaneo che compose per loro. Di lì decine e decine di haiku fluivano, sotto la sua guida, dalle penne dei ragazzi per poi confluire in un libriccino che abbiamo curato insieme: “5 – 7 – 5. La sperimentazione didattica degli haiku in latino tra scuola e università”.
Arianna amava la ricerca e lo studio, che non ha mai trascurato, dando a tutti noi un grande esempio di energica tenacia e incrollabile perseveranza, ma chi l’ha conosciuta può confermare che li avrebbe barattati senza batter ciglio con un’ora di didattica, che con lei significava di insegnamento e trasmissione empatica della classicità. Arianna amava la scuola e anche lì, nelle esperienze di giovane supplente, aveva lasciato il segno: nei giovani dei quali aveva acceso la vena creativa nei corsi scrittura da lei curati, nei colleghi che dovevano aver ammirato il suo entusiasmo, in quel ‘bidello Raffaele’ che è protagonista di una sua vecchia poesia: «Gli dico che scrivo, / accetta il mio libro, / la mia spiegazione / su quello che sono, / un essere strano. / Poi torno al silenzio sovrano» (Sentieri diversi, p. 30).
C’è una parte della sua produzione in cui, attraverso aperture interdisciplinari insistite, si fa più chiara l’aspirazione a raggiungere un pubblico allargato di lettori non specialisti, e, potenzialmente, di studenti, data la chiarezza della scrittura, la sua decodificabilità, la sua capacità di suscitare interesse guardando al nuovo e leggendolo in ‘compresenza’ con il mondo classico: è il filone di ricerca che vira verso i ‘Reception Studies’, nell’ambito dei quali aveva pubblicato lo scorso anno “Percorsi del classico nel contemporaneo (poesia, narrativa, cinema, fiction, musica contemporanee e i classici greci e latini)” e riletto la letteratura contemporanea per l’infanzia alla luce della presenza del classico. In quest’ambito si muovevano le ricerche intorno alla produzione dell’amata scrittrice Bianca Pitzorno, nelle quali pure era riuscita a coinvolgermi e appassionarmi, e che aveva fatto oggetto di uno degli ultimi seminari, nel 2021: “Bianca Pitzorno. Tanti modi di dire il mondo”.
Arianna era, proprio come in una sua poesia, una «donna neonata», un adulto che pascolianamente si affida ad uno sguardo sempre nuovo che ricrea la realtà, e non disdegnava affatto le ‘humilesque myricae’, anzi, scriveva: «gioco con poco: / haiku con un taccuino / sopravvivenza». A queste sue parole affido la conclusione di questo scritto. Bastino, a chi non l’ha conosciuta, ad intuire che fosse davvero una persona sensibile e perbene.

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