Appunti sulla guerra in Ucraina

di Marco Di Giovanni


Mi scuso in anticipo: non sono partecipe dei social anche se apprezzo gli interventi di molti amici. Credo che la situazione di questi giorni sia particolare e ne ho francamente sentite troppe e grosse. Non sono certo il solo a percepire che la storia ha voltato pagina e che gli eventi di oggi contengono la sintesi di una intera stagione e prospettano un futuro oscuro e drammatico. Drammatici, fuor di retorica, sono i momenti in cui scriviamo e leggiamo, consapevoli che, mentre lo facciamo, persone muoiono e sono disposte a morire per una causa, fosse pure la elementare consapevolezza che un sopruso estremo sta schiacciando vite personali, progetti, speranze, pezzi di identità. Non siamo più avvezzi a questo e questo è parte del problema.
Non ho un progetto ma vorrei condividere una serie di considerazioni che contribuiscano a fare chiarezza dove chiarezza o informazione inevitabilmente non c’è, ma dove un denso chiacchiericcio interessato dissemina incertezza mentre altro sarebbe necessario.


Mi permetto allora qualche nota, in parte fissata sotto forma di assioma interpretativo collegato a studi recenti e passati ma tutte utili a focalizzare qualche aspetto essenziale di una cronaca che pulsa, inevitabilmente disordinata ma vittima, nei suoi contenuti rilevanti, di formidabili e pericolose derive, interessate e distorsive.


Premessa interpretativa.

I percorsi storico-comparativi sono sempre relativi ma lo scenario che viviamo rimanda inevitabilmente a quello dei tardi anni Trenta, nel rapporto tra democrazie indebolite dal timore della guerra e determinazione revisionista di regimi autoritari indipendenti dall’opinione pubblica interna e disposti a giocare fino in fondo la carta della guerra.


Assioma 1
Leggere gli eventi
Una guerra inizialmente simmetrica come quella che vediamo, prefigura una “Agonia simmetrica” dell’esercito ucraino di fronte alla straripante superiorità russa.
Un percorso che si materializza attraverso l’approccio distruttivo e diffuso dei russi che impegnano a vasto raggio, anche grazie a un dominio aereo rapidamente conquistato, colpendo le infrastrutture difensive strategiche del paese. Spicca l’ambizione di allargare al massimo il raggio d’azione potenziale entro le prime 24 ore: sette linee di penetrazione per disorientare e disperdere la capacità ucraina, tenendo sotto pressione diretta la capitale e predisponendo la “decapitazione” dello stato.
In questi scenari, in genere, il potente che sferra il primo colpo ha un vantaggio iniziale amplissimo ed è in grado di selezionare le vie di penetrazione cogliendole sempre con una forte superiorità locale e producendo nell’arco di ore / giornate iniziali una serie di successi. Nella migliore delle ipotesi, crolli locali e disorientamento generale possono provocare paralisi e cedimento definitivo delle strutture.
Si può però pensare, di fronte a un esercito inferiore ma comunque organizzato, determinato e armato, che questo vantaggio iniziale si attenui se i combattimenti si disperdono sul terreno e assumono la forma di una difesa territorializzata ma segmentata o comunque coperta dallo scenario ambientale, prendendo atto delle direttrici e muovendosi di conseguenza: si penetra con meno facilità e, localmente, non si esonda. Molti fronti aperti ma nessuno viene sfondato. Quanto si coglie a proposito dell’aziona russa sugli aeroporti rivela forse eccessi di confidenza pagati a duro prezzo e soprattutto, inaspettati.
Qui si aprono subito le prospettive operative della fase successiva, indubbiamente studiate a monte dagli attaccanti: sarà cruciale il modo di gestire lo scenario urbano come area di combattimento da parte dei difensori: il fantasma di Grozny aleggia per i russi anche se certamente hanno studiato, come studiato ha l’esercito ucraino se è disposto a combattere.
Altrettanto rilevante quindi è la disponibilità degli ucraini a morire e a partecipare alla distruzione delle città impiegandole come consapevole scenario di combattimento.
In questo caso la leadership, anche simbolica, è centrale e Zelensky lo ha ben presente, inchiodandosi al terreno. Come ben presente il problema è per i russi: è già a questo punto che hanno dovuto proporre, sul piano della comunicazione, un nuovo stadio della manipolazione della percezione da parte dell’avversario: aprire per qualche decina di minuti lo spazio a una ipotetica trattativa: condotta con il coltello puntato al collo e affidata a una delegazione avventurosamente dislocata a Minsk, nella terra del gentiluomo che dirotta gli aerei di voli internazionali per catturare un oppositore politico interno.
Tanto vale comunque per mantenere attivo il motore della comunicazione manipolatrice, in Ucraina ma soprattutto in Occidente, dove orecchie tese a proposte indecenti non mancano.
Qui però inizia a giocarsi una parte della partita che, pur elasticamente, si appoggia inizialmente, secondo i canoni del 1938-39 (Sudeti, Cecoslovacchia, Albania italiana: l’Etiopia era di poco precedente), sul modello funzionale del “colpo di mano”: se raggiungiamo il risultato in fretta, la comunità internazionale è pronta ad inghiottirlo, tanto più se assorbita dai problemi della ripresa dal Covid e dal consolidamento degli scambi internazionali piuttosto che dai vincoli di una economia di guerra.
Putin ha costruito su questo modello struttura e tempistica del progetto, confortato dalla disponibilità occidentale a dissolversi dall’Afghanistan e dalle dinamiche dei prezzi delle materie prime sostenute dalla spinta della ripresa. Mettere finalmente a frutto la miopia strategica dell’Occidente sul terreno delle risorse primarie dei due – tre lustri precedenti.
Abbiamo molti motivi per piangere sul latte versato ma, a questo punto, è molto rilevante quanto la tenuta militare ucraina si darà: un colpo di mano, anche a livello di credibilità di un leader assoluto, funziona se dura poco. Se i costi aumentano e il colpo di mano stenta a chiudersi, la ruota può tornare a girare.


Assioma 2
Si resiste e si può resistere con efficacia ma bisogna avere una ragione in più per morire. Lo si fa se resistere si aggancia alla speranza di un appoggio esterno o di un valore di qualche tipo per la propria resistenza. Il tema dell’aiuto esterno ha radici antiche ma in questo caso tutti sanno che l’Occidente non interverrà direttamente ma sotto altre forme: fra questa le sanzioni e, potenzialmente, un gran clamore morale.
Forse però anche cose che non sappiamo: supporto ad operazioni speciali? Uso o controuso dell’arma cyber? Forme di disturbo dei sistemi etc.? La NATO scoprirà in parte le proprie carte se vedrà che gli ucraini tengono e che Mosca entra in difficoltà col passare del tempo e lo scorrere del sangue?


Assioma 3
La natura decapitante degli obiettivi russi dà spazio ai tre anelli collegati: colpo di mano; emergere delle quinte colonne; decapitazione del governo e poi azione epurativa anche attraverso procedure direttamente criminali, esecuzioni etc.
In caso di crollo e prima di consolidare un “governo locale”, ruolo della componente russa come linea “volkdoutcher” per la decapitazione della componente democratica della società ucraina
È l’obiettivo della guerra: piegare e umiliare le democrazia e spezzare l’Europa, mostrandone le fragilità; nessuna cultura democratica nell’orto di casa.
Nella dottrina militare di Gerasimov la minaccia è proprio la democrazia: sono le piazze colorate e Euromaidan, subdole armi dell’occidente.


Assioma 4
Lo scenario di occupazione sarà gestito con assoluta durezza, secondo la lunga pratica di Putin e con una eventuale approssimazione allo scenario ceceno: una repressione spietata e una epurazione dei “cervelli” della opposizione
Qui conta davvero il sostegno dell’Occidente, in tutte le sue forme e anche in direzione operativa; rendere lo scenario corrosivo e ingovernabile in maniera crescente nel tempo. Conterà la capacità dell’esercito ucraino di “sciogliersi” per tornare ad agire come resistenza e rendere l’occupazione “impossibile” (più sarà dura la guerra, meno credibili i fantocci di Mosca); contano naturalmente le predisposizioni “stay behind” in accordo con l’Occidente.
Da questa linea (la definizione del potere) discendono le considerazioni relative alla Maskerovska e alla propaganda: verso i russi e verso il mondo (connessioni alla situazione interna in termini di sistema)
Il modello criminale di azione internazionale è l’assioma n. 5 e si identifica con una spaventosa ma concreta ideologia
A presto allora per il modello ideologico, consistente “novità”, figlia della storia, rispetto a striminzite letture geopolitiche del presente.
Ma forse possiamo anticipare altri percorsi e assiomi che urgono.


Assioma 6
I bias cognitivi che ci hanno portato a “non vedere” quello che era sotto i nostri occhi e che però ci è passato anche fra le mani come documento.


Assioma 7
La concretezza di un potere nucleare che sembra manifestare una deterrenza a senso unico di fronte a circostanze reali: i gangster agiscono con una mazza mortale a senso unico.


Assioma 8
Il sistema di regole internazionali che aveva accompagnato la fine della guerra fredda e la materializzazione della eredità di Norimberga e di Ginevra (l’età dei diritti) risulta assediato e potenzialmente minoritario, eroso dall’interno e dall’esterno


Assioma 9
Il soggetto chiave dell’Occidente è in bilico e gli Stati Uniti, per nulla stabilizzati, rischiano di aggiungere una variabile impazzita al quadro.

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