Andare per musei a Firenze
di Roberto Cafarotti
Il treno per Hogwards parte dalla stazione di King’s Cross al binario 9 e ¾. Questa è una delle numerose trovate geniali di J.K. Rowling sulle avventure di Harry Potter.
Per chi viaggia in Italia potrebbe capitare di entrare in un luogo e provare lo stessa meravigliosa esperienza che proveremmo se ci apparisse da dietro un muro una inaspettata realtà, come quella vissuta da Harry Potter sul famoso binario della stazione di King’s Cross.
Per me, un luogo simile esiste. Si trova nel cuore di Firenze e pochissimi lo sanno.
Chi vorrà trovarlo, dovrà cercare una chiesa che però ora non lo è più. Entrando dal portale, inequivocabilmente religioso, antico, troverete dentro uno spazio moderno, un museo al cui interno vedrete statue di arte contemporanea. È il Museo Marino Marini, oggi realizzato appunto nell’edificio che anticamente fu un’antichissima chiesa.
Inoltre, se non lo sapete e nessuno vi informerà, è probabile che entrando, visiterete tutto il museo senza accorgervi che lì c’è anche quella sorta di barriera magica come lo è a Londra il binario 9 e 3/4 a King’Cross.
Basta entrare in una porta, a sinistra rispetto al vecchio altare, e vi sembrerà di fare l’ingresso nel cuore del Quattrocento fiorentino e nella incredibile bellezza dell’arte rinascimentale.
Il luogo di cui parlo è la cappella Rucellai presso quella che fu l’ex chiesa di San Pancrazio. Giovanni Rucellai ricchissimo imprenditore fiorentino, negli anni Quaranta del XV secolo, diede mandato a Leon Battista Alberti di riattare la cappella di famiglia e di progettare, al centro di essa, il proprio sacello funebre. L’unico vincolo era che la forma dovesse ispirarsi al vero Santo Sepolcro, quello dell’Anastasi a Gerusalemme.
Giovanni mandò persino una squadra di tecnici a Gerusalemme per rilevare le dimensioni originali del sepolcro di Cristo e riportarle al suo geniale architetto.
L’Alberti ricostruì l’intera cappella per renderla più accessibile ai fedeli che sarebbero entrati nella chiesa e progettò il sacello secondo un gusto e uno schema completamente rinascimentale. Si ispirò alla letteratura antica, ai preziosi testi che stavano giungendo a Firenze dai numerosi umanisti e sacerdoti greci che fuggivano dalla avanzata ottomana pronta a minacciare Costantinopoli, l’antica capitale dell’Impero d’Oriente che aveva retto il testimone della potenza romana ben oltre mille anni rispetto a Roma.
L’edificio dell’Alberti che oggi possiamo ammirare nel suo splendore è giunto a noi quasi perfettamente intatto, dopo un prodigioso restauro fatto negli ultimi decenni. Vederlo significa assistere a un prodigio dell’arte. Quel piccolo miracolo di armonia architettonica lascia promanare, da quelle forme e dalle linee geometriche che lo decorano, l’idea astratta della perfezione.
Il tempio è in muratura, rivestito da lastre di marmo di Carrara incorniciate da listelli di marmo serpentino verde scuro di Prato. Dosate insieme, producono nel complesso il senso di un ritmo ordinato, sobrio e di immutabile bellezza. Non occorre essere architetti, storici o studiosi, è un’esperienza che emerge da sé a chiunque desideri andare a vederlo dotato di un minimo di curiosità.
Le singole metope ricordano i modelli che L.B Alberti disegnò per i riquadri nel registro della facciata di Santa Maria Novella, ma soprattutto sono ispirate dalle antiche e originali decorazioni della Basilica di San Miniato in Monte, altro gioiello imperdibile per chi va a Firenze.
La disposizione di queste geometrie quadrate sono ordinate in numero di tre in verticale e separate in tre fila sui lati lunghi e su quello absidale, due sul lato frontale, secondo numeri non casuali. Escludendo l’abside, i gruppi di lastre sono ritmati da lesene di sapore classicheggiante le quali terminano con capitelli corinzi. In alto, scorre un bellissimo fregio al centro del quale Alberti inserì – con dei caratteri capitolari studiati nei dettagli – un’iscrizione relativa al Vangelo di Marco: YHESUM QUERITIS NAZARENUM CRUCIFIXUM SURREXIT NON EST HIC. ECCE LOCUS UBI POSUERUNT EUM, che significa: Cercate Gesù Nazareno crocifisso. E’ risorto, non è qui. Ecco il luogo dove lo hanno posto.
La sommità del sacello è coronata da una serie di forme a giglio che innestate una a fianco all’altra circondano l’intero edificio. Sono un importante simbolo, non solo della città, ma anche del massimo grado di elevazione spirituale, secondo un’antica profezia di Gioacchino da Fiore. Al centro del tetto e spostata sull’ingresso troneggia una lanterna quale simbolo di fede. Sopra l’elegante cupolotto tortile svetta la Croce di Cristo quale simbolo trionfante.
La visione d’insieme è incantevole e perfette sono le dimensioni. I rapporti geometrici, sobri ed equilibratissimi lo trasmettono istintivamente: imprimono alla struttura una propria solennità. Al cospetto di questo tempietto si avverte un senso di rispetto per un’opera che va ben oltre la sacralità stessa che il monumento rappresenta.
Ogni pannello di cui il sacello è composto è decorato all’interno con figure geometriche di forma circolare. Non sono semplici tarsie. La decorazione non fu ottenuta mediante il ritaglio a traforo pieno delle superfici e dall’equivalente riempimento con marmi di altro colore e di uguale spessore. No, troppo semplice. La lastra di marmo bianco è incisa per pochi millimetri in profondità, poi riempita con inserti di marmo serpentino e anche di marmo rosso. Questa tecnica è molto più difficile che un traforo completo. Lo scavo superficiale e il corrispondente riempimento negli incavi con altri marmi rende l’operazione molto complicata. Ma siccome nulla nel Rinascimento fu affidato al caso, e la perfezione era una priorità assoluta, mediante questa tecnica si ottenne una maggiore robustezza e una solidità che avrebbe consentito alle metope di resistere maggiormente nel tempo, come in effetti è accaduto.
Le decorazioni sono modernissime, sembrano immagini stilizzate da grandi designer di oggi. Sono simboli Ispirati a testi antichi e a forme geometriche di tradizione esoterica, che L. B. Alberti aveva studiato approfonditamente.
Le metope poste al centro dei rispettivi lati, portano invece le insegne di alcune famiglie. Una vela gonfia di vento, simbolo di fortuna, era il simbolo dei Rucellai. Quella fu posta sul lato destro, in maniera che fosse l’unica visibile dalla navata centrale e quindi dall’assemblea dei fedeli a messa. Sul lato absidale, la metopa centrale porta il simbolo di Lorenzo il Magnifico: tre anelli con diamante incrociati, che si potrebbe intendere anche come simbolo trinitario. Il lato sinistro porta il simbolo di Cosimo dé Medici, il Mazzocchio con tre piume. Infine, l’impresa di Piero dé Medici, padre di Lorenzo: un anello con diamante e due piume. Questa è collocata sul fronte a lato dell’ingresso del sacello.
Il numero dei riquadri dovrebbe essere di un totale di trentatré, come gli anni di Cristo. Ma solo trenta hanno i decori centrali, poiché due sono occupate dallo spazio della porta e una dall’iscrizione sopra di essa che dice: IOHANNES RVCELLARIVS PAVLI F VTINDE SALVTEM SVAM PRECARETVR VNDE OMNIVM CVM CHRISTO FACTA EST RESVRECTIO SACELLVM HOC ADISTAR IHEROSOLOMITANI SEPVLCHRI FACIVNDVM CVRAVIT MCCCCLXVII, e significa: “Giovanni Rucellai figlio di Paolo onde ottenere la sua salvezza là dove con Cristo avvenne la Resurrezione di tutti curò che fosse costruito questo sacello sul modello del sepolcro di Gerusalemme 1467.
La piccola porticina, ispirata al modello del Santo Sepolcro originale, era fatta per imporre al visitatore di entrare chinato in segno di rispetto e di umiltà. La camera sepolcrale interna è decorata con affreschi di Giovanni da Piamonte allievo di Piero della Francesca, e una statua di Cristo che giace sul Sepolcro
Realizzare un tempietto sul modello esistente a Gerusalemme fu certamente anche l’occasione per creare un centro di culto e di pellegrinaggio. Dopo le ultime disastrose crociate del XIII secolo e soprattutto dopo la caduta di Costantinopoli, i viaggi in Terra Santa furono sempre più carichi di incertezze e pericoli, pertanto in molti luoghi si crearono dei simulacri del Santo Sepolcro. Uno dei più antichi ed affascinanti è a Bologna nel c.d. complesso di Santo Stefano. Magari un giorno scriverò un altro post su questo.
Ma, torniamo al nostro tempietto. Nella parte superiore, attorno alla cornice esterna, ci sono numerosi chiodi metallici che a malapena si intravvedono. Durante la vigilia di Pasqua, venivano utilizzati per sostenere una lunga fila di candele accese che circondavano così la sommità dell’edificio creando un effetto molto suggestivo di raccoglimento e di meditazione spirituale.
Quando uscirete dalla cappella Rucellai vi ritroverete in mezzo alle sculture di Marino Marini. Notevoli, certamente, ma espressione di un’altra arte, quella contemporanea. Interessante e suggestiva anche questa, ma credo molto distante dallo stile senza tempo di L. B. Alberti. Forse, per alcuni sarà un po’ come ritornare nella stazione di King’S Cross provenendo da Hogwards.
Leon Battista Alberti (1404-1472)
Sacello del Santo Sepolcro presso la Cappella Rucellai, ex chiesa di San Pancrazio (Firenze)





