Alla fiera dell’est, di Angelo Branduardi

di Francesca Tala

Chi non conosce la canzone del cane che morde il gatto che si mangiò il topo …che al mercato mio padre comprò …etc., un capolavoro della musica italiana, una canzone antica piena di significati simbolici …la ripetitività costante che la fa diventare una filastrocca tanto amata anche dai bambini, quasi un gioco di memoria e una morale all’Esopo

Il brano, infatti, è liberamente ispirato al canto pasquale ebraico del “Chad Gadya“, che Angelo Branduardi, appassionato di cultura ebraica, ben conosceva. Un testo che viene recitato al termine della Haggadah Shel Pesach, durante la cena pasquale. Le dieci strofe del canto narrano le vicende non di un topolino ma di un capretto, che ricorda l’agnello pasquale col cui sangue gli israeliti marchiarono le loro porte per salvarsi dallo sterminio dei primogeniti in Egitto.

Il testo è una lunga metafora che, tramite personaggi che simboleggiano figure chiave della storia biblica, ripercorre la storia dell’Israele antico narrata nella Bibbia. “Poi venne il Santo, Lui beato e uccise l’Angelo della Morte, che uccise il macellaio, che massacrò il bue, che beveva l’acqua, che spegneva il fuoco, che bruciava il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che mangiava la capra, che il Padre comprò per due zuzim” dal canto di Chad Gadya.

Penso che molti di noi collegano questa canzone con la nostra gioventù ,in questa canzone sono legati almeno per me ricordi indimenticabili della nostra vita.

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