Alessandro “Alex” Guio

di Massimo Soncini 

Nelle scorse ore è venuto a mancare Alessandro “Alex” Guio. Non so se su “Gazza” e “Tuttosport” e “Corriere dello sport” leggeremo domani un pezzo in dedica a questo amico: la memoria, anche nel caso dei campioni, tende ad annacquarsi. Ed Alex Guio fu un campione: prima che nei risultati sportivi con il football americano (cosucce come un titolo europeo con la Nazionale italiana a Castel Giorgio, 1983: era uno dei quarterback), nella capacità di essere persona umana in ogni momento, senza affettazione, senza forzature, senza che sul volto comparisse una maschera. In campo, con quella divisa numero 7, non disdegnava i lanci nell’epoca in cui pochi erano i quarterback con vera attitudine al “passing game”; le statistiche, ecco, a volte le statistiche si rivelavano poco collaborative e sembravano dargli contro, ma quel che premeva ad Alex era il “senso” del gioco. Il “senso”: l’elemento romantico attorno ad uno sferoide prolato cui affidi il successo o la sconfitta, ed allora vuoi che dietro al lancio stia qualcosa di diverso dal mero atto meccanico che di sicuro sarebbe più fruttifero; no, dietro al lancio dev’esserci una costruzione mentale, dev’esserci un processo culturale, dev’esserci un arabesco che introduca a quel che verrà.
Nella manifesta diversità dei caratteri, Alex Guio era speculare a Paolo Crosti, altro quarterback – lo scrivo in nome di lande meneghine e di lande ticinesi, equamente condivise da “Big Ram” incisosi nella genesi dei Seagulls Lugano poi primi vincitori dello “Swiss bowl” – che per malattia ci lasciò due anni or sono: entrambi immaginifici, entrambi filosofici, entrambi connaturati con la disciplina sportiva che praticavano e della quale erano alfieri, l’uno con “verve” dialettica a volte incontenibile, l’altro con un sorriso disarmante. Così come Paolo Crosti a Milano, Alex Guio era visceralmente legato a Ferrara, dove fu anima nella costruzione delle Aquile, una tra le cinque squadre fondatrici della allora Aifa.
Ci ha lasciato uno di quelli che sanno farsi rimpiangere. Nel dolore che si prova, stasera, almeno siamo certi di aver condiviso un pezzo di strada con un uomo autentico. Ed è merce rara, questa.

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