Alcune considerazioni su Alberto Asor Rosa

a cura del CDEC (Centro Documentazione e Cultura Ebraica)

Su Alberto Asor Rosa, intellettuale poliedrico che ha influenzato profondamente la cultura italiana del secondo Novecento, si stanno leggendo importanti ricordi e riflessioni sui quotidiani e in rete. Lo ricordiamo con rispetto per la sua storia innovativa della letteratura italiana e per il suo impegno nella preservazione del paesaggio. Più controverso e a tratti non lineare il suo percorso politico. Sul suo libro dedicato alla Guerra (La guerra. Sulle forme attuali della convivenza umana, Einaudi, Torino 2002) sembra si preferisca tacere. A ragione. Vi si leggeva fra l’altro questo passaggio: “La storia dello Stato di Israele è la vivente testimonianza del fatto che il passato di un popolo non lo àncora necessariamente ai valori della sua tradizione e alla memoria delle proprie sofferenze. … Gli israeliani sono gli immediati discendenti degli ebrei che hanno subito i pogrom e l’olocausto, ma non conservano nulla del carattere di vittime che li ha contraddistinti nella storia: per non essere più vittime, sono entrati direttamente, – quasi senza mediazioni, – nel novero dei carnefici. … In compenso, una grande fonte del pensiero mondiale [l’ebraismo n. d. r.], più volte alternativa alla cupa gravezza e all’ossessione di dominio dell’efficientismo tecnologico occidentale, si è disseccata. L’Occidente intero è più forte per merito dell’esercito e dello Stato d’Israele. L’Occidente intero, senza pensiero ebraico, è più povero e al tempo stesso più rozzamente, banalmente totalitario. Se è mostruoso progettare la sopravvivenza di quel pensiero al prezzo della vita di milioni di persone, è altrettanto mostruoso osservare che la cessazione di quel pensiero non ha prodotto che una macchina militare-statuale delle più perfette, nel più pieno rispetto delle dinamiche occidentali di rapporto fra potere, violenza e oppressione. Olocaustus produxit exodum et exodus produxit olocaustum. Il cerchio infernale della storia umana ha compiuto un altro giro”. Sì, decisamente meglio tacerne. Che la terra gli sia lieve.

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